IL RASTRELLAMENTO INTORNO AL MONTE FUSO

“Come è stato qui?” chiese Afro senza guardarlo. Il vecchio si scosse, portò lo sguardo sul fondo dell’avvallamento, dove spuntavano i tetti di due case e dietro c’era un gruppo di frassini. “Figliolo” disse. “E’ stata una cosa brutta. Molto brutta in quelle case là”. “Cosa hanno fatto?” chiese Lince senza guardare il vecchio. Lui chinò il capo e raccolse uno stecco. Pareva più piccolo e più gracile nella calma luce del sole. “Cosa hanno fatto?” ripetè Lince, quasi con violenza.

Il sergente che aveva sorriso aveva il viso bianco. Lasciò la sua immagine nella
memoria degli abitanti di Provazzano, di Neviano, di Lupazzano, di Lodrignano; la
lasciò bianca, esangue, sottile, col ciuffo di capelli che gli scendeva sugli occhi privi di luce, la pistola serrata nella molle mano femminea, con la fibbia della cintura su cui era inciso “Gott mit uns”.

I sergenti della “Hermann”, per sette giorni, col sole che riempiva anonimo il cielo e
ogni cosa nella sua ferma luce di ferro strideva e un grido subito si spezzava e non si udiva alcun volo di uccello né il fruscio di una lucertola, con le montagne lucide e immote e gli alberi, ombre di granito sui dirupi, il metallo ardente nell’acqua del greto e l’aria orrendamente vuota, i sergenti della “Goering” fecero comodamente quello che si sentivano liberamente di fare per ordini ricevuti, per gusto di razzia e di ferocia, e lo fecero anche nella notte, coi loro pallidi soldati dalla pelle liscia di donna.

Per due giorni fu solo silenzio sopra le case, tra le ceneri nere e i cadaveri che
penzolavano come rigonfi d’acqua azzurra. Sulle strade deserte e sui pendii, sull’erba dei prati e sugli alberi dove era solita passare l’ombra delle nuvole, non restava che l’impronta, vasta come la luce, di ciò che era accaduto.

Ubaldo Bertoli, La Quarantasettesima

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